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(N°12 SETTEMBRE 2013)


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Voyager Magazine Coronation Chair & Stone of Scone.jpg

 

La Pietra dell'incoronazione

Un altro importante tassello di questa storia riguarda la presunta origine reale egizia dei sovrani di Irlanda e Scozia ed affonda le proprie radici nella mitica “pietra di Scone”, meglio conosciuta con il nome di “Coronation Stone” (“Lia Fáil” in gaelico), la pietra che dettava il nome di colui il quale sarebbe diventato re di Scozia. Fu presumibilmente utilizzata nelle incoronazioni dei re Irlandesi del di Dalriada, fino al 400 a.C. e poi impiegata con lo stesso fine in Scozia fino a quando I la portò via con sé a Abbey, a Londra, come bottino di guerra ponendola sotto un trono di legno, la cosiddetta “St. Edward’s Chair”, sul quale venivano incoronati i re inglesi. Solo nel 1996 il governo inglese la restituì agli scozzesi che oggi la custodiscono nel Castello di Edimburgo. La leggenda più nota la vuole come il cuscino di Giacobbe narrato nella Bibbia che fu trasportata dalla Terra Santa per opera di Gathelus, attraverso la Siria e l’Egitto e da lì, dietro consiglio di Mosè, in Spagna, arrivando fino in Irlanda dove lo stesso San Patrizio la benedisse prima che venisse usata come luogo per le incoronazioni dei re Irlandesi. Una leggenda che ha molti elementi in comune con la storia di Scota che ci parla di una stirpe reale che viene da lontano.


L'INCREDIBILE STORIA DELLA REGINA SCOTA


Secondo alcuni testi, l'orgoglioso popolo scozzese ebbe origine dai discendenti della figlia di un faraone egizio, partita dall'Africa più di tremila anni fa.


Accade, a volte, che da alcune pagine nascoste della storia riemergano accadimenti straordinari e misteriosi. È la storia di Scota, la figlia di un faraone d’Egitto la cui discendenza avrebbe colonizzato sia l’Irlanda che la Scozia: una storia a cavallo tra mito e realtà raccontata in diversi testi antichi le cui pagine narrano di personaggi leggendari, viaggi avventurosi e gesta di antiche battaglie che il tempo aveva nascosto per secoli. Una storia che affonda le radici nelle sabbie egizie dove le gesta Bibliche di Mosè incontrano le vicende della millenaria civiltà Egizia; una storia che si sviluppa in paesi non ancora formati come Spagna ed Irlanda; una storia che al termine, nel disperdersi tra le nebbie scozzesi, ha saputo lasciare una prestigiosa eredità: da Scota sarebbe derivato il nome di Scozia e del popolo degli Scoti, da suo marito Gael (Goídel Glas latinizzato: Gaythelos) la lingua gaelica e dai loro discendenti quella stirpe reale che per molte generazioni governò l’Irlanda e la Scozia.


Un passo per volta

La fase storica in cui si incentrano le vicende legate a Scota corrisponde ad uno dei periodi più travagliati per l’Egitto perché costituisce uno dei pochi punti di rottura tra le fasi dinastiche del regno egizio. Si parla, verosimilmente, del XIV secolo a.C., periodo in cui Mosè ed il popolo di Israele passano il Mar Rosso ed epoca in cui avviene la cosiddetta “eresia monoteistica di Akhenaton” dove tutte le divinità egizie vengono sostituite dal dio unico Aton. Di quale faraone era figlia Scota e perché lei e suo marito dovettero lasciare l’Egitto?


Fonti storiche di rilevo

Le vicende di Scota, che sembrano essere tratte da un romanzo “new age”, appartengono, in realtà, ad una lontana e profonda tradizione sia scozzese che irlandese arrivata sino a noi grazie ad importanti opere letterarie che hanno saputo conservare il corpus di memorie orali, miti, leggende e storia, raccolti durante il medioevo. Basti pensare che uno di questi testi, lo “Scotichronicon” (“Cronaca degli scoti”), è attualmente considerato dalla National Library of Scotland come “la più importante opera sulla storia scozzese altomedioevale”. Lo “Scotichronicon” è un manoscritto risalente al XV secolo in cui è stata trascritta la storia epica degli scozzesi dal punto vista dei commentatori medioevali.

Le vicende di Scota sono anche riportate in altre due opere degne di nota; si tratta di collezioni di poesie e racconti in prosa che parlano delle origini della storia irlandese dalla creazione del mondo fino al Medioevo in un misto tra mitologia, leggenda, storia, folklore e storiografia cristiana: il “Lebor Gabála Érenn” (Il Libro della presa d'Irlanda) redatto da un anonimo nel XI secolo ed il “Foras Feasa ar Éirinn” (“Storia d'Irlanda”) scritto in lingua gaelica irlandese e completato nel 1634 dal religioso, poeta e storico irlandese Goffredo Keating.

Altri riferimenti esistono anche in due singolari documenti con cui il governo e la nobiltà scozzese si rivolsero al papa per perorare la causa dell’indipendenza del regno scozzese: Il “Pleading”, un memoriale redatto nel 1301 dall’allora commissario del governo scozzese Baldred Bisset e la “Dichiarazione di Arbroath” una dichiarazione presentata il 6 aprile 1320 a Papa Giovanni XXII in forma di lettera, per ribadire sia l’indipendenza della Scozia come Stato sovrano che il suo diritto di difendere militarmente il proprio territorio qualora ingiustamente attaccata.


La diaspora

La storia di Scota e dei suoi figli è riportata nei testi di riferimento con diverse varianti. In tutti i testi comunque Scota risulta essere la figlia di un faraone d’Egitto vissuta ai tempi in cui Mosè guidò il suo popolo attraverso il Mar Rosso. Sposò Gael (Gaythelos) che proveniva dalla Scizia, una regione nel sud della Russia ed a nord del Mar Nero (secondo lo Scotichronicon Gael era invece originario della Grecia), ed è forse da questa regione che deriva il nome “Scota” che non risulta essere un tradizionale nome egizio. Gael era diretto discendente di Noè e suo nonno, Feinus Farsaid, era stato uno dei 72 regnanti che aveva fatto costruire la Torre di Babele. Le ragioni per cui il Faraone fece venire Gael in Egitto variano a seconda delle fonti: alcuni testi sostengono che giunse per insegnare le lingue o le arti divinatorie mentre altri lo vogliono a capo di un esercito di mercenari che combatté al fianco del Faraone. Fu lui che diede origine ad una nuova lingua, il gaelico, che creò combinando le peculiarità delle 72 lingue esistenti. Per varie ragioni fu costretto ad andarsene dall’Egitto spingendosi, con la moglie ed i figli, verso nuovi lidi. Approdarono nella penisola Iberica dove fondarono la città di Brigantia, che secondo alcuni si trovava nella zona del delta del fiume Ebro, zona che ricorda molto il delta del Nilo; secondo altri invece si insediarono presso La Coruña in Galizia. Alcuni, poi, si spingono ad identificare il Portogallo come uno dei possibili siti di transito sostenendo che il nome di questa nazione sia derivato da: “porto di Gael”.


L'epopea continua

A causa dei ripetuti conflitti con le popolazioni iberiche furono costretti, dopo generazioni (più di 400 anni secondo il Lebor Gabála Érenn), a riprendere il viaggio che portò i discendenti di Scota e Gael verso la fertile e quasi disabitata terra d’Irlanda che prese il nome di “Hibernia” e “Scotia” in onore del loro capo Hiber (l'Irlanda era conosciuta in latino come “Scotia Maior”, mentre la Scozia veniva chiamata “Scotia Minor”). Alcune tombe a forma di imbarcazione starebbero ancora oggi a testimoniare le antiche relazioni tra Spagna ed Irlanda. Queste tombe chiamate “navetas” sono infatti presenti sia sull’isola di Minorca che nella penisola di Dingle, nel sudovest dell’Irlanda ed oltre ad essere identiche nella forma avrebbero anche in comune l’adozione dello stesso sistema di misurazione. Ben 1200 anni dopo la biblica traversata del Mar Rosso (secondo quanto riportato nella “Declaration of Arbroath”) giunsero sino in Scozia dove, “dopo aver espulso i Britanni e completamente sradicato i Pitti”, instaurarono una dinastia regale che, fino al 1320 d.C., poteva vantare una successione ininterrotta di ben 113 re.


Il Faraone Eretico

Le vicende di Scota si intrecciano con quelle di una delle più turbolente ed oscure fasi dell’antico Egitto, passata alla storia come “eresia monoteistica di Akhenaton”: un periodo caratterizzato da intensi contrasti politici e religiosi tra i faraoni della XVIII dinastia egizia ed il clero tebano. Improvvisamente, attorno alla metà del XIV secolo a.C., fece la sua comparsa un nuovo credo: quello del dio “Aton,” una divinità solare che il faraone “Amenofi IV”, meglio conosciuto con il nome di Akhenaton (Aton è soddisfatto), volle sostituire al secolare culto di Amon facendone l’unico e solo rappresentante di tutte le divinità che affollavano il pantheon egizio. Akhenaton spostò la capitale da Tebe ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo, ed emanò un editto mediante il quale fece sconsacrare tutti gli antichi dei e chiudere i loro templi. Dopo 17 anni di governo, Akhenaton scomparve; cosa gli accadde e quale fu il suo successore rimane tutt’ora uno degli episodi più misteriosi della storia. Di fatto il culto di Aton può essere considerato il primo caso di monoteismo ufficiale al mondo e in molti hanno colto numerose analogie con le vicende bibliche di Mosè ed individuato importanti relazioni con la religione ebraica come ad esempio la forte somiglianza del Salmo Bibico 104, che canta la gloria di Dio nel creato, con l'Inno al Sole di Akhenaton, ritrovato nella tomba di Ay.


Chi era Scota?

È proprio a questa tumultuosa fase storica che fanno riferimento le cronache medievali relative a Scota. Secondo le fonti, infatti, suo padre era un Faraone vissuto ai tempi di Mosè ma nei testi di riferimento possiamo ritrovare solo poche informazioni al riguardo: dal “Lebor Gabála Érenn” sappiamo che il faraone annegato nel Mar Rosso aveva il nome di “Cenchres” mentre da “La Storia dell’Irlanda” di Geoffrey Keating emerge come la diaspora di Scota sia stata causata dal Faraone Intuir. Quest’ultimo, infatti, avrebbe perseguitato la stirpe di Gael perché, una volta salito al trono, avrebbe riacceso la sua vecchia inimicizia nei loro riguardi dovuta al sodalizio di questi con i figli di Israele ai tempi del Faraone Cincris.

In molti si sono cimentati nell’impresa di dare una collocazione storica ai personaggi di questa vicenda tra cui alcuni recenti scrittori di storia alternativa: per Lorraine Evans Scota era “Meritaten” una delle sei figlie di Akhenaton , l’unica che andò incontro ad un destino sconosciuto e non fu seppellita in Egitto; per Laurence Gardner  era la figlia del faraone egiziano Smenkhkare, conosciuto con diversi altri nomi tra cui Achencheres; per Ralph Ellis era si trattava invece di  Ankhesenamun figlia di Akhenaton.

Il racconto riportato nelle cronache medievali scozzesi ed irlandesi, per quanto fantasioso possa sembrare, poggia le proprie fondamenta su uno dei pochi eventi instabili della storia egizia, un momento in cui era possibile che un principe e una principessa (o regina) venissero espulsi dal paese. Inoltre è possibile supporre che tra Gael e Mosè possano esserci state delle relazioni più o meno compromettenti e che questo, dopo quanto accaduto sul Mar Rosso, avesse reso inevitabile un loro esilio.


Indizi sconcertanti

Per molti Scota rimane un personaggio racchiuso unicamente nel folclore degli irlandesi e degli scozzesi, ma è realmente così? Una serie di indizi non trascurabili potrebbe rivalutare quanto riportato nelle leggende medioevali o perlomeno avvalorare alcune congetture relative alle antiche connessioni tra Egitto, Irlanda e Scozia. Nel 1937, a North Ferriby, nello Yorkshire, e poi nel 1992 a Norwest Holst, vicino Dover, vennero recuperate diverse navi i cui resti presentano non solo singolari analogie con le imbarcazioni egizie, ma le datazioni effettuate al radiocarbonio le farebbero risalire in piena eta' del bronzo fornendo così un altro importante punto di aggancio con la presunta eredità tecnologica preservata negli anni dalla progenie di Scota.

Alcuni musei tra cui il “Dublin Museum” ed il “British Museum” espongono alcuni oggetti d’oro di pregiata elaborazione come girocolli e collane la cui manifattura richiama verosimilmente quella egizia. Come spiegare una presenza di oro così importante in una terra che, a quel tempo, era notoriamente priva di miniere d’oro e di fonderie in grado di realizzare oggetti simili?

Ma ci sarebbe dell’altro: nel 1955 nel corso di uno scavo presso Tara, un antico sito di incoronazione in Irlanda, vennero trovati i resti di quello che sembrava essere un giovane principe che ancora indossava una rara collana di perline di ceramica. Lo scheletro fu datato, mediante radiocarbonio, al 1350 a.C. mentre le perline della collana di ceramica furono catalogate come egizie e del tutto simili a quelle del celebre corredo funebre di Tutankhamon.

Recentissime scoperte stanno inoltre gettando nuova luce anche sugli insediamenti dell’età del bronzo in Spagna. Nel 2008 a Totana, vicino la città spagnola di Murcia è stata rinvenuta una città fortificata ribattezzata dagli archeologi col nome di “La Bastida” che risulta essere un unicum nel suo genere in tutta l'Europa continentale. Gli scavi hanno portato alla luce grandi residenze di oltre 70 metri quadrati, con un assetto fortemente difensivo; potrebbe trattarsi della mitica città di “Brigantia” fondata da Scota e Gael? Forse è ancora presto per trarre delle conclusioni ma, di fatto, di correlazioni tra questi paesi ne esistono e molte.


Antico legame

Le origini di Scozia ed Irlanda riportate in questa versione medioevale risultano alquanto stravaganti presentando non pochi elementi oscuri; per queste ragioni molti studiosi sono convinti che le vicende di Scota siano solo frutto dell’invenzione e del folklore medioevale. Se così fosse, da cosa però sarebbero state originate? È possibile che questa storia sia stata creata sul modello della discendenza troiana di Roma al fine di poter vantare nobili ed illustri origini. Attraverso questa tradizione i figli di Scozia ed Irlanda sarebbero così discendenti sia di Noè, tramite Gael, e sia dei Faraoni d’Egitto, tramite Scota. È inoltre ragionevole pensare che antiche leggende possano essere state rimodellate ed aggregate alle radici ebraico cristiane con un fine preciso: poter rivendicare, nei confronti del Papa, l’indipendenza rispetto altre nazioni come, di fatto, è accaduto per “Dichiarazione di Arbroath”. Molti elementi tra cui scoperte archeologiche e singolari riscontri tra mito e realtà ci fanno però riflettere su come racconti e leggende, anche in queste pagine dell’antico passato irlandese e scozzese, possano, in realtà, contenere tracce di verità che faticosamente affiorano nel tentativo di riprendere il loro posto nella storia. Nella sua “La Dea bianca” (1948), il poeta e studioso di mitologia britannico Robert Graves ha messo in evidenza come, in realtà, ci possa essere questa possibilità perché, una volta, l'antica conoscenza veniva trasmessa oralmente di generazione in generazione dai druidi dell'Irlanda pre-letteraria. Druidi, quegli antichi sacerdoti, maghi e guaritori che rassomigliano tanto agli antichi sacerdoti egizi. Un lungo filo sottile lega da molti secoli Scozia ed Egitto, due nazioni che, solo apparentemente, sembrano agli antipodi ma hanno, in realtà, molto in comune.

Ultimo aggiornamento Giovedì 29 Agosto 2013 12:54  


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Georges Ivanovic Gurdjieff

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Athanasius Kircher fu un personaggio molto particolare i cui interessi spaziarono in tutti i campi dello scibile umano. La sua ricerca si basava principalmente sulla comprensione dei meccanismi cardine che regolavano la natura. In totale affinità con il sentimento neoplatonico di cui fu uno dei massimi esponenti concepiva tutti gli aspetti del mondo sensibile come emanazione dell'uno dal quale andavano prendendo forma attraverso una serie di stati degradativi. Secondo Kircher questo processo di derivazione dalla fonte unica avveniva sempre con lo stesso meccanismo per ogni singolarità della natura e ciò permetteva che principi scoperti in un determinato campo erano, per analogia, applicabili ad un altro apparentemente molto diverso dal precedente. Con tale forma mentis egli poté investigare e conoscere a fondo un'infinità settori spaziando dall'astronomia alla matematica, dall'archeologia all'ottica, dalla chimica al magnetismo, dalla filosofia alla musica, dalla storia naturale alla fisica e alla gnomonica. Il suo sapere non si limitava al solo studio teorico ma era costantemente accompagnato da brillanti realizzazioni quali ad esempio il prototipo della lanterna magica che espose, insieme ad altre meraviglie meccaniche, nel suo "Wunderkammer" il primo museo della scienza al mondo. Creò inoltre una delle più antiche calcolatrici e compilò la prima rappresentazione cartografica delle correnti marine; fu il primo ad osservare il sangue umano al microscopio e con la sua decifrazione del Copto e la sua interpretazione dei geroglifici gettò le basi che portarono all'attuale decodifica dell'antica scrittura egizia.

La vita di Athanasius fu costellata da molti eventi particolari tra cui ce ne furono alcuni che lo portarono addirittura molto vicino a perdere la vita: una volta rischiò di annegare perchè cadde in una crepa apertasi in un fiume ghiacciato ma anche se faticosamente, riuscì a trarsi in salvo; durante la guerra dei trent'anni per poco non fu impiccato da un gruppo di protestanti che dopo averlo circondato e derubato lo lasciarono andare perché riconobbero qualcosa di speciale nella sua estrema calma di fronte alla fine che stava subendo; da giovane si salvò miracolosamente dallo sfracellarsi quando fu trascinato dalla corrente verso la ruota di un mulino ad acqua; un'altra volta rimase miracolosamente illeso quando, mentre stava guardando una corsa di cavalli, finì accidentalmente sotto gli zoccoli degli animali. Grazie alla sua estrema fede in Dio e nel destino che, come affermò egli stesso, lo doveva portare a compiere qualcosa di grande, mantenne sempre una straordinaria calma cosa che gli fu di notevole aiuto anche in quei frangenti pericolosi.

Il Kircher possedeva una personalità poliedrica. Il suo carattere particolare lo spinse ad praticare per ben cinque anni un curioso esercizio. Per esercitare l'umiltà si finse stupido dal momento in cui fu ammesso al noviziato dei Gesuiti di Paderbon in Vestfalia (2 ott 1618) fino a quando non fu trasferito a Coblenza nel 1623. Dotato di una spiccata sensibilità verso il metafisico ebbe diverse visioni e sogni "profetici" come quello che gli preannunciò la distruzione, per ordine di Gustavo Astolfo di Svezia(1631), del collegio dei gesuiti di Wurzburg dove egli risiedeva. Era anche un uomo in cui una sterminata curiosità si legava ad una buona dose di temerarietà e questo lo portò, non solo ad ammirare in loco le eruzioni dell' Etna e dello Stromboli (1637) e ad osservare da Tropea terremoto che distrusse Sant'Eufemia nel 1638, ma addirittura come un novello Plinio Seniores, a scendere, all'età di più di settant'anni, nel cratere del Vesuvio per eseguire delle misurazioni.

Appassionato della storia arcaica dell'uomo intraprese moltissime ricerche indirizzate al reperimento di documenti e prove legate ad episodi a cavallo tra la storia e la mitologia. In particolare i suoi interessi si diressero principalmente su Atlantide di cui possedeva un'antica mappa che esamineremo in seguito e sui più importanti resoconti biblici come il Diluvio Universale, l'Arca di Noè, la Torre di Babele ed i Giganti per cui collezionò i resti di alcuni elefanti antidiluviani ritrovati a Trapani e Palermo nel 1636 e diversi scheletri dalle misure straordinariamente grandi (Le "ossa di giganti" delle grotte di Maredolce presso Palermo).

Le informazioni sulla sua vita oltre a pervenirci dall'innumerevole quantità di opere lasciateci e dalla folta corrispondenza che tenne con più di 760 personaggi dell'epoca, fra cui scienziati (Leibniz, Torricelli e Gassendi), medici, missionari gesuiti, due imperatori del Sacro Romano Impero, papi e potentati di tutto il mondo (Cristina di Svezia), ci arrivano anche attraverso la sua autobiografia di cui riportiamo l'incipit:

    "Nacqui il 2 maggio 1602, giorno di Sant'Atanasio, alle tre della notte, nell'infelice città di Geisa, a tre ore di viaggio da Fulda. I miei genitori erano Johann Kircher e Anna Gansek, cattolici devoti, rinomati per le loro buone opere."

Cronologicamente il giovane Athanasius entrò all'età di dieci anni nel collegio gesuita di Fulda e poi, ammesso come novizio nel collegio gesuita di Paderborn (2 ottobre 1618) ivi rimase finché gli esiti delle persecuzioni della guerra dei Trent'anni lo costrinsero ad andare prima a Munster e successivamente a Colonia, dove proseguì i propri studi scientifici e umanistici. Nel 1624 si trasferì prima a Mainz, dove nel 1628 divenne sacerdote e poi presso l'Università di Würzburg in qualità di professore di filosofia, matematica e lingue orientali. Nel 1633 ricevette, praticamente in contemporanea, due illustri proposte che lo volevano l'una a Vienna per succedere a Keplero, deceduto nel 1631, nel ruolo di matematico presso la corte dell'imperatore Ferdinando II e l'altra a Roma per l'importante traduzione di alcuni vocabolari copti. Il destino lo mosse nel novembre del 1633 a Roma dove rimase per tutto il resto della sua vita fatta eccezione per un soggiorno a Malta fra il 1636 e il 1637 in qualità di confessore di Hesse-Darmstadt da poco convertitosi al cattolicesimo. Nel 1638 venne nominato professore di matematica presso il Collegio Romano, incarico che lasciò otto anni dopo per dedicarsi completamente alle sue ricerche. Morì a Roma il 27 novembre 1680 e fu sepolto nella Chiesa del Gesù mentre il suo cuore, per suo espresso volere, venne invece tumulato nella cappella di Santa Maria della Mentorella vicino a Palestrina. Questo luogo, sin dal suo primo incontro avvenuto casualmente nel 1661, ebbe un'attrazione speciale per il gesuita. La chiesetta abbandonata che lì sorgeva si poggiava sulle rovine dell'antico santuario edificato nel luogo dove era avvenuta la conversione di Sant'Eustachio e la cui fondazione risaliva secondo un'iscrizione all'imperatore Costantino come ci viene descritto nella autobiografia Kircheriana:

    "Ci avvicinammo e scoprimmo che si trattava di una chiesa in quasi completa rovina. Entrai e mi resi conto che era stata una chiesa magnifica. Rimasi stupito al pensiero che fosse stata costruita in quella terra spaventosamente desolata, e supposi che vi si nascondesse un segreto. … guidato da Dio, mi imbattei in una lastra di marmo su cui era inciso il testo seguente: In questo luogo si convertì Sant'Eustachio, allorchè il Cristo crocefisso gli apparve tra le corna di un cervo. In memoria di tale avvenimento, l'Imperatore Costantino il Grande fece erigere questa Chiesa, solennemente consacrata dal santo papa Silvestro I al culto della Madre di Dio, e di Sant'Eustachio."

Il Kircher si adoperò moltissimo per farla ristrutturare e da quel giorno decise che vi ci sarebbe recato ogni 29 settembre, giorno in cui si festeggia San Michele Arcangelo, e divenne per lui il posto dove egli più amava ritirarsi a meditare e a scrivere.

La sua poderosa produzione letteraria (più di trenta testi) lo fece apprezzare come uno dei più grandi eruditi del XVII secolo. Tra le sue opere più suggestive, ricordiamo il Prodromus Coptus sive Ægyptiacus (1636), Lingua Ægyptiaca restituta (1643), Ars Magna Lucis et umbrae in mundo (1645–1646), Obeliscus Pamphilius (1650), Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni (1650), Œdipus Ægyptiacus (1652–1655), Mundus subterraneus, quo universae denique naturae divitiae (1664–1678), Obelisci Aegyptiaci interpretatio hieroglyphica (1666), China Monumentis, qua sacris qua profanis (1667), Ars magna lucis et umbrae (1671), Arca Noë (1675), Sphinx mystagoga (1676) e Turris Babel sive Archontologia (1679).